“A L’Aquila piantiamo i Lamponi della Pace”

 

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i “lamponi della pace”

È passata una settimana da quando L’Aquila ha ricordato i sei anni dal terremoto. Una settimana per far sedimentare le sensazioni che ho provato girando il 6 aprile per il centro. E  finalmente non è stata solo profonda tristezza

uno striscione che ha accompagnato la fiaccolata della notte del 6 aprile
uno striscione che ha accompagnato la fiaccolata della notte del 6 aprile

È ancora il rosso il colore che l’associazione Animammersa ha scelto per ridare significato alla città, questa volta tinta dai lamponi. L’anno scorso era stato il rosso del filo delle ragnatele tessute intorno a piazza Duomo

Piazza Duomo l'anno scorso
Piazza Duomo l’anno scorso

Fu la prima cosa che notai quando due anni dopo il violento sisma tornai a L’Aquila: il rosso, in varie sue sfumature, vivace, acceso, brillante, delle case appena ricostruite

casa rossa

Pensai che fosse la reazione degli aquilani al dolore, l’urlo della loro rabbia. Avevano così trovato il modo di entrare in una “zona rossa”, il loro spazio privato al posto di quello pubblico che era invalicabile. “Una zona rossa ovunque si trovi è una questione nazionale”, era scritto su un’enorme coperta tesa da Animammersa in piazza Duomo per denunciare la cattiva gestione di tutte le emergenze italiane

coperta

Con il colore rosso gli aquilani esprimevano anche ciò di cui avevano più bisogno, la forza, la vita, come negli amuleti della cultura popolare abruzzese, portatori di virtù benefiche. Ancora oggi in città si parla dei colori della ricostruzione: “i palazzi ricostruiti, in colori sgargianti. Imbarazzanti. Non ho parole”, scrive una lettrice al giornale online NewsTown 

Antonella Cocciante la presidente di Animammersa
Antonella Cocciante, la presidente di Animammersa

“Rosso come il sangue degli aquilani che sparso sulla terra germoglia in nuovi frutti come simbolo di rinascita”, dice Antonella Cocciante presidente di Animammersa. Perciò i lamponi: un filo rosso che lega L’Aquila alle città bosniache di Srebrenica e Bratunac, come le lega il 6 aprile, uno spartiacque tra una vita e l’altra, tra la paura e il coraggio di reagire. In questo stesso giorno iniziò nel 1992 l’assedio di Sarajevo. La guerra balcanica provocò un grave eccidio, e proprio a Srebrenica ci fu un grande massacro di musulmani. E qui entrano in scena i lamponi

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Nel 2003 alcune donne riuscirono a superare l’odio con il lavoro comune e fondarono una cooperativa agricola che chiamarono “Insieme” proprio perché riuscì a unire ortodosse, musulmane e cattoliche nella coltivazione di lamponi e mirtilli. Un patto per sgretolare il muro di odio, diffidenza e tensione fra le parti in conflitto, per favorire il ritorno a casa delle persone cacciate dalla guerra

Rada la presidente di Insieme
Rada la presidente di Insieme

L’idea è venuta alla presidente Rada Zarkovic che la racconta a L’Aquila in italiano: “la dignità umana è stata ritrovata attraverso il lavoro che unisce le persone e ricostruisce la pace”.

Oggi la cooperativa dai 10 soci iniziali è arrivata a contare 500 famiglie socie e una produzione annua di 500 quintali di frutti. Il piccolo frutto rosso viene coltivato nella valle del fiume Drina. La coltura del lampone è tradizionale nell’area balcanica, ma il conflitto l’aveva interrotta. È stato un italiano di Trento a rintrodurla in quei luoghi insegnando alle donne della cooperativa le tecniche di coltivazione di una pianta resistente ai climi freddi, che appartiene alla famiglia delle rosacee ed è sacra a Venere.

I frutti dei lamponi – ma anche more, fragole, mirtilli – vengono raccolti ed esportati surgelati nei Paesi europei, mentre la trasformazione in confetture e succhi di frutta è fatta per l’Italia con tre linee diversificate: una di marmellate biologiche, zuccherate e non, per la Coop; una per Altromercato, biologica e zuccherata; la terza, biologica e senza zucchero, guarda ai negozi Bio e ai gruppi di acquisto solidale. 

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Marmellate di Bratunac (info@coop-insieme.com)

Ventotto sono le persone, reduci dal massacro e vedove, che ci lavorano direttamente. Il reddito è garantito anche per le fattorie associate. La cooperativa produce ogni anno 130 mila vasetti di confetture e 180 mila bottiglie di succhi di frutta, oltre a 350 tonnellate di prodotto congelato grezzo. Per impiantare l’impianto di congelamento, la cooperativa ha acquistato una fabbrica distrutta in guerra. I numeri straordinari non parlano solo della qualità del prodotto, buono e sano come le conserve fatte in casa, ma anche del suo valore simbolico.

Il sogno di Rada e delle sue donne ha la dolcezza delle loro marmellate, recuperare quanto più possibile le ricette tradizionali per misurare l’identità. Questa straordinaria esperienza collettiva di amicizia e solidarietà verrà documentata in un film di Mario e Stefano Martone, “Dert”, in via di realizzazione. “L’imbroglio etnico” era invece il titolo della mostra fotografica di Mario Boccia (ma lui avrebbe voluto chiamarla “Un Nobel per la Pace ai lamponi”) che da anni segue la storia dei Balcani e dei luoghi feriti dal conflitto etnico. NewsTown è stato il media partner,  il mensile confronti.net ha sostenuto Insieme attraverso la produzione di cartoline dedicate

foto di Mario Boccia
foto di Mario Boccia

Ricucire ciò che è stato strappato per riprendere forma. Superare il lutto delle perdite e la tragedia, che hanno colpito anche la Bosnia Erzegovina, con la “resilienza”. Piantando i lamponi, le donne della cooperativa hanno ritrovato l’esercizio di prendersi cura degli altri. Hanno ricominciato il cammino verso futuro. Anche gli aquilani vogliono farlo. I lamponi portati dalle bosniache dovranno essere piantati, innaffiati, potati, accuditi. Si guarderà fuori dal proprio dolore. Perciò agli eventi che hanno accompagnato la giornata l’associazione aquilana ha dato il titolo “Oggi non si parla di guerra”, ma di come si possono superare confini e differenze, di come stimolare la consapevolezza delle conseguenze della tragedia per guardare oltre. Oltre i puntellamenti, che ancora colpiscono lo sguardo di chi attraversa il centro storico avendo “l’impressione di un’operazione durevole che non prelude a interventi di restauro, perché eccessiva, invadente”, come aveva denunciato Francesco Erbani. Oltre la tentazione e l’abitudine retorica di parlare del dolore e del passato

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Piantiamo lamponi dove c’è un dramma, piantiamo lamponi per ricucire i rapporti devastati da eventi drammatici”, dice il direttore di Insieme, Skender Hot, arrivato a L’Aquila con le donne dell’associazione

Skender Hot pianta un lampone
Skender Hot pianta un lampone

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Segni della vita che riprende. Skender ha piantato il primo lampone nel parco antistante la basilica di San Bernardino

Leo, Caffetteria San Bernardino
Leo, Caffetteria San Bernardino

Leo, il proprietario della Caffetteria San Bernardino, si è impegnato a curarne la crescita, Animammersa ha realizzato all’uncinetto i sacchetti rossi di lana e cotone per avvolgere amorevolmente i vasetti dei “lamponi della pace” e ha offerto un buffet tipico della colazione tradizionale della Pasqua aquilana: “pizza dolce”, che poi è una ciambella, salsiccia di carne chiamata “cicolana”, uova lesse

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le socie davanti alla sede di Animammersa
le socie davanti alla sede di Animammersa

L’associazione Animammersa sta anche realizzando un’enorme coperta per partecipare il prossimo 20 giugno al Guinness dei primati di Trieste: “Vogliamo che sia la coperta più grande del mondo”, dice Antonella. “È del colore della loro denuncia, il rosso, per richiamare l’attenzione sulla mancanza di una legge italiana che regoli le emergenze e le catastrofi. Le pezze, che stanno arrivando da tutta l’Italia, devono essere lavorate esclusivamente all’uncinetto e recare una targhetta con il nome e la provenienza”. L’iniziativa è parte del progetto di urban knitting “Mettiamoci una pezza” con il quale le socie non sferruzzano soltanto ma, attraverso la partecipazione e la solidarietà, “fanno politica”, come amano dire

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E mentre le donne di Animammersa non si stancano di portare i problemi di L’Aquila all’attenzione nazionale, riacquistano il sorriso. Così le ho trovate, più serene. Ciò che non è cambiato è la loro ospitalità, la voglia contagiosa di non fermarsi, il profondo sentimento di amicizia verso chiunque partecipi al loro cammino, chiunque vada a visitare la loro città. Certo, non è usuale sentire dire “è andato a fare un giro in centro per vedere un po’ di macerie”. Non è facile dire loro, senza rischiare di essere inopportuni, che si impara molto guardando quelle macerie, che insegnano la dignità della caduta e l’ostinazione della rinascita. In fondo L’Aquila è piena di gru, di teli che coprono palazzi in ricostruzione. In fondo è già successo, proprio prima di Pasqua, che una chiesa sia tornata al suo antico splendore: la basilica di San Bernardino fra poco riaprirà. E succede tutti i giorni che gli aquilani sperimentino modelli alternativi di sviluppo, nuovi modi di vivere e abitare, che interpretino senza banalità la cronaca quotidiana, che i baristi e i ristoratori ti facciano sentire a casa e sappiano fare “accoglienza”

basilica di San Bernardino
Basilica di San Bernardino

Gli aquilani possono insegnarci tante cose ma non lo sanno.

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